di Sara Maria Morganti

«Con lei non avevo la sensazione, come invece avevo con tanti altri, che mentre parlavo stesse solo preparando la prossima cosa da dire.»

Siamo amiche da più di dieci anni. Ci siamo conosciute il primo anno di università e non ci siamo più mollate. Abbiamo viaggiato, abbiamo vissuto lontane, ma adesso siamo a cena insieme. È una cena strana, perché inizia alle 19 e sappiamo che durerà poco, per colpa del coprifuoco. Proviamo la sensazione che ci stiano mutilando il tempo, però facciamo finta di niente.

Siamo noi due, ma stasera siamo quattro. Le due persone che sono con noi non si conoscono bene. Ho l’impressione che “le fidanzate” sappiano meglio come comportarsi in queste situazioni rispetto a “i fidanzati”, che risultano spesso più impacciati. Ma forse sono semplicemente più sinceri. I nostri, comunque, trovano qualcosa di cui parlare, creando piccole e momentanee sinergie: la bicicletta, l’erba, la cucina. Fumano tabacco rollato, mentre la mia amica apre la porta al ragazzo del ristorante che ci ha portato antipasti misti e schiacciate farcite

Dopo cena mi avvicino all’altalena azzurra che è appesa al soffitto e che è anche tatuata sulla pelle della mia amica e del suo fidanzato. Mi sento colpevole quando mi ci siedo. Lì vicino c’è una pila di libri e riviste che si alza da terra. L’ultima volta che mi sono seduta su quell’altalena ho preso in prestito un libro di Veronesi, che lei adora. Stasera mi attira una costola bianca che dice “ROONEY PARLARNE TRA AMICI”. La mia amica si avvicina e mi dice bello, bellissimo, quello è un gran cazzo di libro.

Parliamo del fatto che l’autrice è giovanissima e per l’ennesima volta il sogno di diventare una scrittrice si spezza dentro di me. Ogni tot ci penso e stac!, si frantuma, come uno specchio che ha preso un colpo poi magicamente si ricostruisce. Non capisco.

Sono così invidiosa che il giorno dopo cercherò su internet delle foto di questa Rooney, per vedere se è anche carina. La mia amica mi aveva detto che non lo era, ma quella sera non le avevo creduto.  Lo sfoglio velocemente e leggo “Bobbi mi reggeva i capelli”, mentre la mia amica mi dice ecco, questo è uno di quei libri che mi hanno fatta eccitare. Cerco di rievocare nella mia testa i libri che hanno fatto eccitare me, ma me ne viene in mente solo uno. Non lo dico perché non ho voglia di raccontare di quella volta in cui mi sono masturbata leggendo un libro. Se fossimo state solo noi due, probabilmente l’avrei detto.

Frances a Bobbi non lo dice, comunque. Anche se sono ex fidanzate e migliori amiche. Non glielo dice della sua storia con Nick, che è sposato con Melissa, anche se non dormono più insieme. Non glielo dice perché ha paura che Bobbi lo racconti a Melissa, dato che sembrano così legate? Non glielo dice perché un po’ si sente in colpa di avere una relazione con un uomo sposato? Oppure non glielo dice perché vuole che questa cosa sia solo sua, una cosa in cui finalmente Bobbi non c’entra? Lei che è più bella, più strutturata, più capace di stare in mezzo alla gente. Lei che è stato il suo grande amore.

Mentre leggo il libro cerco di riconoscere i momenti che hanno fatto eccitare la mia amica. Lui che posa una bevanda fresca dietro il ginocchio di lei. Lui che le infila una mano sotto il cappotto e, dato che oltre a quello non indossa niente, le tocca il seno con facilità. Immagino di vivere quegli stessi momenti con il mio ragazzo, poi con Nick, ma la fantasia dura poco e si dissolve. Non regge.

Finisco il libro e mi ricordo che l’amore è una questione complicata. Questa consapevolezza m’investe come un tir in piena faccia. Soppeso in silenzio la possibilità di scrivere un racconto in cui ne parlo: un racconto in cui compaia l’altalena azzurra e quel momento in cui, spalla a spalla, abbiamo assemblato ordinatamente quattro ricottine fresche su ampi piatti di porcellana e poi ci siamo leccate le dita felici.

Proprio come fa Frances, che scrive un racconto in cui parla di Bobbi, ma del quale a Bobbi non riesce a parlare.