di Giovanni Di Prizito

‹‹Perché sono venuto qui? Me lo chiedo a ogni partenza.››

La prima cosa che ho fatto, ficcato il naso in Trans Europa Express, è stata prendere una vecchia cartina dell’Europa orientale. Con la matita ho disegnato un cerchio attorno a Kirkenes, Norvegia. Poi ho cerchiato Istanbul e tirato una linea verticale dalle terre iperboree fino al Bosforo, quindi ho fatto i calcoli: quattromilacinquecentosessantanove chilometri.

Seimila invece sono quelli che mi ha raccontato Paolo Rumiz, triestino di nascita e viaggiatore inesorabile. Trentatré giorni di cammino su treni, corriere, traghetti, chiatte, autostop e a piedi da Capo Nord ai Dardanelli.

Investito da un improvviso brivido di piacere, senza pensare a quello che mi passa per la testa salgo sul primo treno e gli corro dietro. Paolo Rumiz mi mostra subito la mappa, un tracciamento artigianale impresso a pagina venti, e mi dice che vuole fare ‹‹un itinerario borderline dal Mar Glaciale Artico al Mediterraneo, uno slalom gigante fuori e dentro la frontiera orientale dell’Unione europea››. Murmansk, Peter(Burg), Kaliningrad, Vilnius, Varsavia, Leopoli, Odessa e Istanbul le tappe principali.

Io, per il piacere dell’onestà, di quelle terre so poco, anzi niente. E glielo dico. Lui allora mi racconta per filo e per segno le storie del popolo slavo d’Oriente. Mi racconta del ‹‹pescatore di granchi giganti›› e delle ‹‹floride venditrici di panna acida e mirtilli››, del ‹‹pastore di renne in guerra disperata con la Gazprom di Putin››, dello scrittore di nome Lupo ritirato ‹‹in una casa solitaria tra i laghi della profonda Carelia››, di tutti i contrabbandieri e sommergibilisti incrociati, dei ‹‹giovani guardiamarina appena promossi e comandanti di carrette arrugginite nei gelidi mari del Nord››, di quando lungo un fiume ‹‹una vecchia di nome Ljuba con tre caprette al guinzaglio›› gli ha raccontato la sua Genesi del mondo e di quando invece su un treno ha visto ‹‹una folla di donne incollarsi alle cosce pacchi di dvd e sigarette usando lo scotch come giarrettiera››.

Tappa dopo tappa i suoi ‹‹otto taccuini di appunti›› diventano duecento-trentuno pagine mentre noi ci liberiamo di ogni forma di guida, perché ‹‹si viaggia assai meglio chiedendo alla gente››, fino a che con seimila chilometri di storie sotto ai piedi ci ritroviamo sul Podol’skij Ekspress a scendere verso il Mar Nero. Io, lui, lo zaino e i taccuini: sei chili di bagaglio. Prossima fermata Odessa. Destino Istanbul.

Fuori e dentro la frontiera orientale io e Paolo Rumiz continuiamo lo slalom gigante, una per una passiamo tutte le porte sia quelle rosse sia quelle blu anche se il corpo rimane piantato in casa. Confinato un’altra volta non faccio che divorare i suoi racconti e guardare dalla finestra, la neve che si posa sui tetti e quella che imbianca la salvia e il rosmarino. Fuori mi continuano a dire di stare dentro, ma io vorrei solo salire sul primo treno e disegnare cerchi con la matita.