di Luca Palladino

 

“… se le cose non finissero mai io diventerei matto”

 

Mi trovavo nella corsia destra della Salerno/Reggio Calabria, direzione Reggio di Calabria, altezza Lauria Nord, la prima volta che ascoltai un audiolibro. Fu un’amica mia, nonostante le mie proteste, a inserire il compact disc nell’autoradio.
L’audiolibro che mi fu imposto, s’intitola Grandi ustionati ed è edito da Marcos y Marcos. La voce e la penna sono di Paolo Nori.
Mentreché lo stereo diffondeva la voce dello scrittore, ho subito notato la provenienza emiliana del suo accento (vien di Parma il Paolo Nori). Con l’accento di Parma, l’autore mi ha raccontato che il protagonista di questa storia si chiama Learco Ferrari, un omaccione che di mestiere fa lo scrittore. Al Learco gli è capitato un brutto incidente automobilistico nel quale si è gravemente ustionato; ed è per questo che è ricoverato nel reparto “Grandi Ustionati” dell’ospedale maggiore di Parma.
In prima persona Learco, cioè la voce di Paolo Nori, mi ha raccontato quello che gli è successo dentro e fuori il reparto. Mi ha raccontato che è possibile fare diecimila di urina, e che “in Giappone sono alto”; che l’ospedale è un posto farsesco e carnascialesco, e che l’uccello africano della famiglia dei fischioni si chiama fischiò. Learco mi ha detto che se ti operi in testa poi ti fa male la testa, e che il catetere non è giusto; che andare a casa è pur sempre bello, che dipende dai giorni, e che avere la seggiola e non avere il culo devi stare in piedi. Prima che la mia amica togliesse il cd dallo stereo infastidita dal fatto che non le rispondevo a chissà che cosa, Learco ha avuto il tempo di raccontarmi che le visioni eloquenti sono ben belle, che i fatti di mal di culo sono precisamente fatti di mal di culo, che le recensioni sono come le previsioni del tempo, non c’azzeccano mai; mi ha poi anche detto che Aleksandr Sergeevič Puškin è un grande poeta, e che anche il cavallo a quattro zampe poi inciampa. Learco, grazie al fatto che con un guizzo impedivo all’indice impaziente della mia amica di digitare il pulsante Eject, ha anche fatto in tempo a dirmi che Miasma le cose facili non le capisce, che i congiuntivi ogni tanto scappano, e che la paratassi non è una malattia; che pian piano tra un po’ ti dimentichi, che il muratore Gaspare Chiapponi è molto meglio di Giuseppe Saragat, che lo straniamento non ho capito che cazzo sia e che chissà che lavoro… ad un tratto, poi, la voce di Paolo Nori è scomparsa e mi è toccato ascoltare la mia amica, mi è toccato… puttana vacca troia!
Ora che ci penso, cioè ora che sono qui a scrivere questa recensione, l’inchiostro di Paolo Nori mi ha aiutato a schiarire l’orizzonte brumoso della mia pianura padana, nel senso che mi ha svelato che il modo di parlare degli abitanti di questa parte d’Italia non è poi così male, fa addirittura ridere. Mi sembra che Paolo Nori abbia fotografato la nostra lingua, l’abbia… come dire?… salvata, e sono tramonti mozzafiato: fa’ tè!