di Alessandra Banfi
«Siamo di razza pura, mezzosangue, quarteroni, ottavi, sedicesimi, trentaduesimi. Calcoli impossibili. Resti insignificanti.»
Non qui, non altrove, edito da Frassinelli, mette al centro della scena una serie di personaggi alle prese con una vita tutt’altro che semplice.
Qualcuno è alla ricerca di un lavoro onesto, qualcuno progetta di far soldi organizzando una rapina. Famiglie spezzate, conti irrisolti con il passato. C’è chi è orfano e chi si aggrappa ad un’attività socialmente utile per raddrizzare la propria esistenza o quella degli altri. Qualcuno si dondola tra l’ennesimo bicchiere di troppo e la voglia di redimersi.
La storia dei tuoi avi fatta a brandelli. La vita di città fuori dalla riserva, un viso segnato da sempre e per sempre da una sindrome feto-alcolica.
Minoranze da integrare, cancellare e amalgamare. Lutti non elaborati, memorie sempre più fragili.
Queste storie, intrecciate l’una all’altra fino a farsi strettissime, convergono in un finale che mi lascia qualcosa di aspro sulla punta della lingua.
All’ultima parola, all’ultima riga del romanzo, rimango inchiodata alla sedia con il libro aperto sulle ginocchia. La storia si chiude quando sento ancora il bisogno di ascoltare e forse è questa sensazione, più di tutto, a restituirmi la realtà dei nativi. Una realtà che ancora oggi è in sospeso e difficile da raccontare, nella quale avverto tutto il peso delle cose che faticano a darsi un loro tempo e un loro spazio. Una realtà facilissima da giudicare (da fuori, se vivi di pregiudizi e adori le conclusioni superficiali) e delicata da snocciolare dall’interno, sulla pagina.
L’autore, Tommy Orange, nato e cresciuto a Oakland, riesce bene nell’impresa di trascinarci dove vuole lui e ci chiede di non commettere l’errore di considerare «resilienti» i nativi. Mi mordo le labbra. Devo meditarci. La resilienza mi sembra una risorsa così profonda. Così necessaria. Poi rileggo e capisco. O credo di capire. In quanto «bianca» mi sento dalla parte del torto e avverto un senso di colpa persino nel dire Ti capisco.
Nessuno, in queste pagine, rincorre fantasmi o castelli fatti di nuvole, ma ciascun protagonista, a modo suo, è alla ricerca di qualcosa di concreto che lo tenga ancorato alla quotidianità e al diritto di percorrere la propria strada. Cercando un qui, ormai perduto, che è diventato un altrove, ancora da trovare.