di Luca Palladino

«C’è troppa ostilità. C’è sempre stata, ma ora viene fuori. La gente se la prende con i bambini…»

«Chi non lo ha mai fatto non si perda il piacere della paura di leggere Ballard…», recitava così uno degli ultimi consigli del Menta, prima che un utente lo facesse inalberare a tal punto da uscire dal gruppo Telegram che aveva fondato, e dalle nostre vite. Dopo un suggerimento così, non potevo certo perdere l’occasione di leggere James Graham Ballard. Perciò, appena ho avuto il controcazzo di andare in libreria mi sono fiondato negli spazi riservati al genere «fantascienza» (lo scrittore inglese è definito un «innovatore della letteratura fantascientifica»), e, all’altezza della lettera «B» di Ballard, privo di pudicizia ho ficcato la mano nello scaffale tirando fuori Il condominio, edito dai tipi di Feltrinelli. Quando ho iniziato a sfogliare il libro, l’incipit non lasciava alcun dubbio sul fatto che avrei trovato il piacere della paura di leggere Ballard: «Era trascorso qualche tempo e, seduto sul balcone a mangiare il cane, il dottor Robert Laing rifletteva sui singolari avvenimenti verificatisi in quell’immenso condominio nei tre mesi precedenti». Il libro, che tratta della vita piombata nella barbarie di certi inquilini di un grattacielo elegante di Londra, l’ho senz’altro comprato e se sapevo che di lì a poco sarebbe scattato il famigerato lockdown, ne avrei presi anche di più, di libri. La verità è che ho sempre solipsisticamente sognato di prevedere il futuro, soprattutto per azzeccare le scommesse del pallone e diventare ricco come Beef Tannen in Ritorno al futuro. Ma non è ancora mai successo.

Ad ogni modo, iniziando la lettura ho avuto la strana sensazione di non essere dentro un libro di fantascienza, ma, al contrario, percepivo una stramba sensazione di attualità: «Di tanto in tanto i suoi vicini uscivano sul balcone e lo guardavano in cagnesco, come se disapprovassero il suo atteggiamento rilassato». Pareva che quello che mi andava raccontando Ballard, esistesse per davvero, anzichenò. In effetti, là fuori, nella cosiddetta vita reale, il delatore al balcone si era guadagnato il plauso dei compatrioti e le prime pagine dei giornali mainstream: «Bravo!», gli avevan detto. Là fuori si stava consumando una certa gara per aggiudicarsi il primato nel denunciare il passeggiatore, il corridore, il fannullone. Il tizio affacciato al balcone era diventato l’eroe nazionale: non ci si poteva manco più rilassà, bisognava soffrire, bisognava fare la vita di merda. Persino un virologo famoso non si esimeva dal denunciare certi accadimenti. L’esperto in virologia aveva postato, via twitter, una foto datata per dimostrare alla sindaca che sul lungotevere c’erano parecchi potenziali untori. La sindaca, ligia ai suoi doveri di sindaca, aveva ringraziato per la segnalazione e, neanche troppo velatamente contrariata dai suoi concittadini, rincuorato il bravo virologo: «Inviato sul posto due pattuglie della Polizia Locale di Roma Capitale», aveva scritto.

Fuori e dentro il libro l’odio nei confronti del proprio vicino si poteva, era concesso, era finalmente libero di manifestarsi. Il lockdown nella vita reale e una serie di black-out nel libro, avevano fornito l’occasione ai cittadini e ai condomini di lasciarsi andare ai loro impulsi primordiali più meschini, ai loro malesseri psichici irrisolti. L’odio nei confronti del proprio simile, delle classi inferiori e persino dei bambini (ma non dei cani), era à la page sia dentro il libro che fuori. «I nostri vicini hanno tutti avuto un’infanzia che più felice non si poteva, ma sono comunque arrabbiati. Forse è perché non hanno mai avuto la possibilità di diventare dei perversi…», mi diceva Ballard nel frattempo. Inscatolato nel condominio, avvertivo una certa paura di mettere il naso fuori dalla porta, e di voltare pagina.

Ciononostante, ho trovato il coraggio di aprire la porta per andare a gettare il pattume. Tornato nel condominio senza particolari incidenti (ho avuto a che fare solo con l’abbaiare di un cane e qualche occhio torvo), intrepido, ho capovolto pagina. Ho tirato innanzi, come si suol dire! Non posso negare che il suono dello scorrere della carta mi ha procurato un «illecito brivido di piacere». Ero un inquilino di un grattacielo elegante in una zona residenziale londinese impegnato nel resistere un minuto più degli altri, a mormorarmi che «Finché senti il profumo dell’aglio, va tutto bene»; mi sentivo un gagliardo scalatore sociale dai grossi genitali, pronto a tutto per raggiungere l’attico; ero un potente architetto sul tetto del grattacielo ad aspettare i miei nemici e a decifrare il linguaggio dei gabbiani. Il sesso era stranamente libero, il potere delle donne una reale possibilità e mangiare cani alla brace una voluttà.

In quel tempo fantascientifico ma reale, tutto quello che poteva succedere è successo.