di Robespierre Capponi

«La maggior parte di noi non può correre dappertutto, parlare con chiunque, conoscere tutte le città del mondo, perché non ha il tempo, i soldi e neppure tanti amici. Le cose che cerca, Montag, sono nel mondo, ma il solo modo che l’uomo medio può conoscerle è leggendo un libro».

Se critichi devi avere una proposta se no tanto vale che non critichi affatto, mi han detto pochi giorni fa. Anche perché per proporre bisogna essere dei gran propositori, invece per criticare basta essere dei criticoni, han proseguito.

Mentre imbronciato me ne stavo seduto alla scrivania pensando alla veridicità o meno di questo assunto, ho afferrato, in un raro momento di lucidità, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, edito da Mondadori nella collana tascabile ed economica degli Oscar, e ho iniziato a sfogliarlo prima e leggerlo attentamente poi.

Fahrenheit 451, un classico della fantascienza, è una storia stramba ambientata in una società futura ultra tecnologica dove i pompieri non hanno più il compito di spegnere gli incendi, ma di appiccarli. In quest’epoca nuova il fuoco non è più usato per scaldarsi, ma per bruciare libri a 451 gradi della scala Fahrenheit. «È un buon lavoro. Lunedì bruci Lugones, mercoledì Maupassant, venerdì Verne, bruciali tutti e poi brucia le ceneri».

È questo il nostro slogan ufficiale! Nella nostra società, dove nessuno ha più tempo per gli altri, i libri sono una minaccia, poiché potrebbero rendere infelici le persone, potrebbero fargli credere a chissà cosa, oppure a una società diversa, magari immaginifica, perché no alternativa, dove è concessa persino la possibilità di criticare senza per questo essere obbligati a far proposte.

Nella nostra società, «l’aggettivo “intellettuale” si è trasformato nella parolaccia che meritava di essere».

I libri, da noi, li si può solo imparare a memoria o nascondere in soffitta, sono il nemico da dissolvere, da far sparire, da bruciare, come Giordano Bruno a Campo de’ Fiori; non deve rimanere neanche un atomo del pensiero che vanno diffondendo. Vogliamo solo essere felici in questa nostra società! Qui la felicità è di tutti, senza nessuna discriminazione, non è come piazza affari che se qualcuno è felice c’è da qualche parte un povero infelice. Qui da noi non esistono i segni + e – a tenere insieme tutto. C’è solo il +.

È per questo che bisogna essere tanto grati al pompiere Montag, il mio collega, il protagonista di tutta questa storia; bisogna essergli tanto grati perché brucia libri con dovizia, e con loro tutte le menzogne di cui sono farciti. D’altra parte, «quando avevamo tutti i libri di cui c’era bisogno, continuavamo a cercare la scogliera più alta da cui buttarci». O no? La vita normale, tranquilla e monotona del mio collega Montag, è esemplare, un esempio per tutti noi. Legato com’è al suo lavoro, fedele a sua moglie e soprattutto alla vita che conduce, una vita piena di sana routine, in cui è molto meglio ingollare patatine fritte davanti a un gigantesco schermo piatto a quattro pareti piuttosto che domandarsi il perché delle cose. In una parola, il mio collega Montag conduce una vita strafelice. La vita che noi tutti meritiamo. Non sia mai si faccia venire delle paturnie, dei ripensamenti o, dio non voglia, dei sensi di colpa: i libracci «erano solo uno dei ricettacoli in cui mettevamo le cose che avevamo paura di dimenticare», questo Montag lo sa, lo deve sapere.

Sono uscito da questo libro come si esce da una discoteca, tirando un forte sospiro di sollievo: fortunatamente solo nei libri di fantascienza esistono delle società così meschine.