di Sara Maria Morganti

Inizio Morti di sonno a un’altitudine di 2.300 metri sul livello del mare, con i piedi infilati in un paio di orrende ciabatte blu e il culo parcheggiato su una seggiolina da campeggio ripiegabile Decathlon. Un sole molto vicino mi brucia la pelle e illumina le spesse pagine in bianco e nero che sfoglio combattendo contro il vento, ma comunque non mi interessano molto le condizioni atmosferiche. Ho camminato per giorni e oggi mi fermo.

Il fumetto di Reviati si apre con una finestrella sul mare, ma è un mare che non si fa desiderare, un mare infestato. Tutti quei fumi tossici che avvolgono la vita di Rino detto Koper e dei suoi compagni contrastano molto con l’aria tersa che sto respirando e tutto quel grigio, quel nero del fumetto non c’entra nulla con la luce che mi fa strizzare gli occhi. E nonostante questo io sto lì dentro con loro per tutto il tempo, in mezzo ai polpacci di quei ragazzini che giocano a calcio ogni giorno, perché il calcio è la cosa più importante, in mezzo ai gatti volanti e ai rospi brucianti, ai sassi lanciati e alle pesche rubate. C’è molto movimento in questo fumetto, anche se tutto avviene nello stesso luogo, perché da bambini si corre sempre, lo dice anche Rino, eppure non si ha fretta. Molto movimento in quella città romagnola vicino allo stabilimento ANIC e insieme molte cose non dette, come i balbettii di Sgnìz, come la mamma che ti accarezza la testa mentre un allarme costringe tutti in casa con le finestre sbarrate, come il babbo che piange in silenzio, come bere un altro bicchiere per riempirsi la bocca con l’alcol e non con le parole che vorresti dire a Ettore ma non puoi, perché lui se n’è andato presto e non lo sa cos’è successo dopo, e come glielo racconti cosa vuol dire crescere in un posto così?

Mi sembra che duri solo un attimo, molti anni in una manciata di minuti. All’improvviso anche io sono grande e quasi piango per quell’albero che era sempre stato lì senza mai dare fastidio a nessuno, o almeno così credevamo, Rino ed io, ma ci sbagliavamo perché l’hanno reciso alla base per fare un po’ d’ordine e di pulizia, finalmente, ce lo dice la vicina, e usa proprio queste parole: «ordine», «pulizia», «finalmente». All’improvviso tutto è seppellito sotto terra: le foglie e i fichi che l’albero lasciava cadere, il canale di scolo della città che puzzava di marcio e che era il nostro gioco più eroico, gli amici che ci son stati portati via.

Finisco Morti di sonno, che Coconino Press finiva di stampare per la prima volta undici anni e un mese fa, e sono sempre lì, ciabatte e seggiolina, eppure mi sento un po’ diversa e se chiudo gli occhi vedo rondini in bianco e nero.