di Alessandra Banfi

Non è difficile immaginare la zia. Ha il colore della luna, i capelli legati stretti, i piedi scalzi, il pigiama. È seduta al pianoforte, sta suonando. La casa è vecchia – molto vecchia – e le finestre sono aperte sulla notte. La musica riempie la stanza e sguscia oltre i davanzali, si infila tra le foglie e i rami degli alberi del giardino, scuotendoli un po’. In cielo c’è qualche nuvola, ma si tratta di nuvole sfilacciate e leggere che non possono creare ombre. I riflessi bianchi della luna sono dovunque.
La zia mangia quando ne ha voglia e dorme fino a quando ne sente il bisogno. Qui non ci sono orari da rispettare. Ne approfitto per fare quello che mi pare e mi sposto nel corridoio con il libro che sto leggendo, spingo una porta socchiusa, dico permesso anche se nessuno può sentirmi. Sono sola, la zia Yukino è di là e muove le dita sui tasti del pianoforte, incurante della mia passeggiata notturna.
La camera dietro la porta è un delirio di oggetti rovesciati sul letto e sul tappeto. Mi fermo sulla soglia a osservare.
Fogli di carta ripiegati, monetine, una piccola borsa di stoffa, un astuccio di pelle, tovaglioli appallottolati, una scarpa nera e lucida dal corto tacco consumato.
Il letto è sfatto e le coperte ricadono sul pavimento sporco. Forse dovrei rendermi utile e rimettere un po’ d’ordine.
La casa non è mai pulita a dovere e il giardino sul retro è zeppo di cumuli di cose dimenticate “come non ci fossero mai state“. Ma è un caos che mi affascina.
Nell’angolo accanto alla finestra c’è una scrivania di legno. Ha l’odore dei boschi inzuppati d’acqua. Appoggio il libro sulla sua superficie ruvida, avvicino la sedia e mi metto comoda. Riprendo la lettura. Il suono del pianoforte si trasforma in un sottofondo lontano.
Potrei leggere all’infinito di questa zia da fiaba. Di lei e delle sue stanze scricchiolanti. Provo invidia per il mondo raccolto tra queste mura fatiscenti e per questa polvere fitta e lanosa che rende soffici le piastrelle su cui appoggio i piedi. La mia idea di casa è racchiusa in questa immagine.
Una tana. Uno spazio senza tempo in cui non si avverte alcun bisogno di farsi notare.
All’improvviso squilla il telefono. La zia Yukino smette di suonare il pianoforte, ma non si preoccupa di alzare il ricevitore e lascia che i trilli continuino: perché non va a rispondere? Potrei farlo io, però non è casa mia… e poi chi sarà mai, a quest’ora? Il telefono adesso tace e la camera è piena del silenzio della notte. Il fruscio delle foglie in giardino mi fa compagnia. Ritrovo il punto in cui ho interrotto la lettura, ma il telefono ricomincia a squillare. Mi distraggo subito, dopo poche righe.
La nuova chiamata si chiude nel silenzio di una mancata risposta per la seconda volta. E dopo qualche minuto si ripete la scena. Poi di nuovo e di nuovo ancora. Mi alzo e porto il libro con me accanto alla finestra. La luna sparisce, mi ritrovo al buio. Penso che è giusto così, l’ho appena letto, deve succedere per forza. La storia, per essere fedele, prevede uno scroscio d’acqua di quelli forti, roboanti. E infatti ecco le prime gocce. Grosse, pesanti. In pochi istanti il rumore della pioggia mi riempie la testa. Stringo il libro contro la pancia. L’aria adesso è fredda, appiccicosa. Nel nero della notte vedo scintillare la luce che illumina la finestra della sala. La zia è là, seduta in una posa tranquilla davanti al suo pianoforte. Mi volto e cammino cauta verso la porta, verso la luce della sala che si riflette lungo il corridoio. Ho l’impressione di muovermi al rallentatore. La distanza tra me e la zia sembra incolmabile. Poi mi ritrovo nella sala con lei, non so come… Giusto il tempo di appoggiare lo sguardo sulla sua figura esile e il suono del campanello di casa arriva fin lì sopra, mescolato al tic tac dell’acqua e al frusciare leggero dei piedi della zia sul pavimento.
Deve andare proprio così. Riapro il libro alla pagina numero diciotto e la nipote di zia Yukino ci ha appena raggiunte, spinta da un triste presagio. Continuo a leggere.
Dalle scale arrivano le voci delle due donne. Si salutano, si scambiano qualche battuta.
Mi faccio un po’ da parte, non voglio essere di troppo.
Yanoy è fradicia. Appoggia a terra un borsone. Zia Yukino mette a scaldare dell’acqua. Quello che ci vuole adesso, prima di continuare la storia, è un tè bollente ben zuccherato.