La scomparsa di Majorana

di Luca Palladino

 

«La scienza, come la poesia, si sa che sta a un passo dalla follia»

 

La scomparsa di Majorana, edito da Adelphi, è un fondamentale romanzo di Leonardo Sciascia, scrittore di animo e di sensibilità civica fuoriclasse.

Se si ha la bontà di aprire questo suo libro, ci si nutrirà della storia squisita, ed  esemplare a un tempo, del grande fisico italiano Ettore Majorana. Trovo sia necessario conoscere l’operato del Majorana, e quindi aprire questo libro, soprattutto perché, in questa epoca nostra dove latitano i modelli, un uomo che rinunzia alla sua vita per il bene di tutti, ossia rinunzia ad una sua probabilissima scoperta scientifica per il bene degli altri, cioè rinunzia al premio Nobel per l’interesse generale, credo che sia il più belvedere di tutti; non esistono delle robe che mozzano il fiato più di così.

Eppure pare che sia vissuto invano l’Ettore Majorana se si dà un’occhiata all’attualità: a noialtri, poveri sventurati, ci è toccato in sorte di vedere un governo che licenzia di licenziare. Se si pensa alle figuracce che occupano il discorso pubblico, è ancora più fondamentale conoscere l’impresa del Majorana, poiché chi viene a sapere delle sue gesta potrebbe, perché no?, riconoscersi e fondersi nel suo senso buono: un senso, a mio avviso, profondamente nobile.

Penso che, per noialtri lettori, sia stata una fortunaccia molto sfacciata che Leonardo Sciascia abbia seguito le tracce del Majorana, che abbia indagato sulla sua scomparsa, se no a quest’ora dovevamo credere alle fandonie dei notiziari, più devoti al sensazionalismo che alla verità. La storia di Ettore Majorana non è una spy story, come qualcuno ha voluto farci credere, bensì la storia di un “dramma religioso, e diremmo pascaliano”.

Majorana si va a collocare nel ristrettissimo novero di quei grandi uomini che hanno detto sì alla vita, di quelli che l’hanno maritata e mai tradita.

Con il suo tocco magistrale, Leonardo Sciascia ci racconta che il Majorana, siciliano, filosofo e scienziato, era di carattere scontroso e di aspetto saraceno, e che faceva cose bizzarre come appuntare sul suo pacchetto di sigarette teorie da premio Nobel e buttarle nel cestino subito dopo aver prelevato l’ultima sigaretta, e che, poi, aveva l’abitudine di starsene per conto proprio, ché pare non ci piacesse la compagnia degli altri. Del resto uomini che capiscono di fisica non possono avere a che fare con le cose del mondo: il meteo, il denaro, il tributo, il rotocalco.

Majorana era troppo impegnato a portare il suo sguardo altrove, ossia nel campo della fisica nucleare, per potersi occupare dell’attualità. E’ l’attualità, semmai, che si è occupata di lui. Majorana, a differenza dei tanto lodati ragazzi di via Panisperna, “portava” la scienza; per lui la scienza era “un fatto di natura”, “un segreto dentro di sé”: così ci riporta appassionatamente Leonardo Sciascia, il quale all’orecchio ci rivela che il Majorana aveva previsto tutto ed è solo perché in lui non c’era un solo “granello di egoismo” che Mussolini e Hitler non hanno avuto l’Atomica. Difatti, se Majorana avesse “tradito la vita”, è molto probabile che i nazifascisti avrebbero avuto la Bomba ben prima degli americani, i quali, da par loro, non ci han pensato due volte a sganciarla sugli abitanti di Hiroshima e Nagasaki, ma questa è un’altra storia.

Ettore Majorana ha scelto la morte presunta, è scomparso dalla propria vita pur di non essere indotto in tentazione di svelare la cosa brutta che aveva visto la sua preziosa intelligenza. Se è vero che l’invisibilità è “essenza del mito”, allora Ettore Majorana è totalmente mitico.

 

 

 

L’Armata dei Sonnambuli

di Luca Palladino
DECLARATION DES DROITS DE L’HOMME ET DU CITOYEN Article 35. – Quand le gouvernement viole les droits du peuple, l’insurrection est, pour le peuple et pour chaque portion du peuple, le plus sacré des droits et le plus indispensable des devoirs.
L’Armata dei Sonnambuli, pubblicato da Giulio Einaudi editore, stampato su carta ecosostenibile e dedicato a Stefano Tassinari, è il nuovo componimento letterario della Wu Ming Foundation.
In questo loro romanzo, i Wu Ming ci contano com’è che andò nei cosiddetti anni del terrore, cioè gli anni che vanno dalla testa mozzata del Luigi Capeto alla controrivoluzione Thermidorienne, cioè pressappoco da quando si è smesso di utilizzare il pronome di cortesia, fino a quando lo si è reintrodotto.
I Wu Ming ci accompagnano nella Rivoluzione francese con il loro proverbiale sguardo obliquo, con il loro abituale “approccio sghembo”; ci contano i sanculotti del foborgo più rivoluzionario di Parigi, il Saint Antoine; ci raccontano il teatro d’avanguardia attraverso la bizzarra storia di un seguace di Goldoni; ci narrano il ruolo tanto  fondamentale quanto radicale delle donne, attraverso la tricoteuse Marie Nozière (non è un caso che la Rivoluzione inizia il suo deperimento quando i Giacobini chiudono i circoli rivoluzionari delle donne).
I Wu Ming ci espongono le vie del magnetismo animale, il mesmerismo, attraverso due modi opposti d’interpretarlo; ci riferiscono dell’operato convulso di Madama Ghigliottina; ci riportano di Marat, di Saint-Just, di Massimiliano Robespierre, l’avvocato di Arras, dagli illustri maneggioni considerato l’antesignano di tutti i tiranni; ci confidano che il terrore all’ordine del giorno fu preteso, negoddio, dal popolo. Insomma, è come se ci stringessero la mano e ci accompagnassero dentro un quadro di Hieronymus Bosch, c’est la folie quoi!I Wu Ming condiscono il loro romanzo di allegorie, di “anacronismi calcolati” e di radicalità. Finalmente l’aggettivo “radicale” viene demistificato, gli viene data, vivaddio, un’accezione positiva. Radicale è il personaggio del romanzo a cui mi sono più affezionato, e che difficilmente dimenticherò, il dottor Orphée D’Amblanc, un terapeuta del sonnambulismo, un deontologo della fraternité, un rivoluzionario avanti lettera. Egli porta se stesso e il lettore fino in fondo, jusqu’au bout : “Voi non siete come loro D’Amblanc. Voi avete capito. Es ist kein Geheimnis. Non c’è nessun segreto. Esiste soltanto il flusso. (…) Oggi avete visto un nobile magnetizzare einen Bauern, un contadino. Ma avete mai visto un contadino fare lo stesso a un nobile? Pensate a questo e cercate una via, più che una guida. Vi auguro di trovare eine autentische Revolution…”D’Amblanc è uno di quei rari signori che hanno cercato una via per sbloccare das Flut, – il flusso – di rimuovere l’intoppo, il blocco, l’ostacolo dentro di sé. Egli ha liberato la sua anima dall’impedimento, con lo stesso coraggio del poeta Majakowski, con lo stesso coraggio con cui un idraulico rimuove la merda convogliata nel sifone del vaso sanitario. Seguendo la via tracciata dal cittadino D’Amblanc è come se arrivassimo alla conclusione sorprendente che la lotta, dopotutto, paga.A mio avviso, la forza dei Wu Ming, di questo portentoso collettivo, sta nel riuscire ad incantare, quasi a magnetizzare, attraverso personaggi memorabili dalla voce perforante. Questo libro ci insegna ad insorgere dentro di noi, sbloccare il flusso, e fuori di noi, afferrare senza indugio lo “spirito di Marat” e insorgerlo nel buco di culo dei muschiatini.Ecco una buona notizia, ecco degli scrittori che non ci tradiranno. Gli incorruttibili.
Allons enfants!

La madonna dei Filosofi

di Luca Palladino

‹‹ Ma nel castello delli antichi Signori, dopo il veleno antico, il ferro, e i libri del male, erano dolci, nobili donne: ed era la bimba che tanto aveva sognato, e così amaramente pianto: e l’immagine benedicente di Lei, che a ognuno sovviene: e nell’ora di male e di guerra e nell’ora che ha morte, stanco, il nostro pensiero mortale.››

 

Butto gli occhi per le vie infinite dell’internet cercando uno spunto per scrivere qualcosa di sensato riguardo La Madonna dei filosofi di Carlo Emilio Gadda. D’un tratto, come per magia, incontro la scheda del racconto che vorrei recensire nel sito dedicato allo scrittore milanese. La scheda fa così: “Maria Ripamonti, ultima discendente di una famiglia nobile decaduta, promessa a un giovane partito volontario per la Prima Guerra Mondiale e poi disperso, non intende ascoltare i genitori che vorrebbero sposi l’avvocato Pertusella. L’ingegnere Cesare Baronfo, titolare di un azienda di rappresentanze ereditata dal padre, vittima di un’inguaribile nevrosi causata soprattutto dalla passata relazione con Emma Renzi che gli ha dato un figlio, decide di vendere l’azienda per dedicarsi alla filosofia. Maria Ripamonti e l’ingegnere Baronfo si incontrano e si frequentano. Ma, di ritorno da una gita in macchina, subiscono un agguato di Emma Renzi che ferisce gravemente l’ingegnere sparandogli con una rivoltella.”

Non incontravo una scheda dai tempi grigi della scuola. Questo incontro fortuito ha procurato in me una certa invidia: una scheda io non la sono mai riuscito a fare, la chiarezza è una qualità che, ahimè, non mi appartiene.

Tuttavia, mi sono chiesto se sia importante nel Gadda la trama, la scheda, il punto di partenza e il punto di arrivo, e le indicazioni: a dritta e a manca, di sù e di giù. In effetti, quand’anche ci si muove, la trama nel Gadda, e in particolare ne La Madonna dei filosofi, non mi sembra affatto la caratteristica principale. Forse è proprio per la mancanza di indicazioni che l’altra sera un tipo mi ha detto senza remore che Gadda è illeggibile. In questi tempi nostri in cui si usa il google maps persino per andare al cesso, non stupisce lo sfogo scomposto cui, mio malgrado, sono stato testimone.

A onor del vero, entrare in una frase del Gadda è come passeggiare in una strada a forte pendenza, in cima ci si arriva col fiato grosso, come al Castelletto: la bicocca dei Ripamonti. Ma è anche e soprattutto vero che entrare in una frase del Gadda e perdersi in essa è dire sì alla letteratura. Leggere il Gaddus è come entrare in un gomitolo dove non è necessario una bussola per orientarsi, è necessario esserci. Nel gomitolo gaddiano pullula la vita. Penso che uscire indenni da una frase del grande scrittore Carlo Emilio Gadda sia il massimo per un lettore. Una volta fuori dal garbuglio gaddiano, si ha come una netta percezione di benessere, un certo friccico nel cuore.

Ritornando per un momento alla scheda, le vite a pezzi di Maria Ripamonti e dell‘ingegnere Baronfo si incontrano quando ormai tutto pareva perduto (galeotta fu l’inserzione), tutto sembra andare per il verso giusto fino all’arrivo dell’ostacolo, della realtà, della rivoltella, che qui il Gadda chiama Emma Renzi: d’altronde un Renzi compare sempre a guastare le feste. Il racconto gaddiano termina con l’aspro commento di mademoiselle Delanay, un’amica “non eccessivamente francese” della famiglia Ripamonti. Qui il Gadda è come se lasciasse alla Delanay l’inchiostro, la penna e il calamaio e si facesse da parte. Cossicché mademoiselle Delanay ci dà la sua versione della disgraziata vicenda, si bourgeois; ebbene la mademoiselle si lascia andare a una sorta di sfogo di classe: elle avait du linge, la petite!, esclama mademoiselle Delanay. Un finale che è un ennesimo guizzo gaddiano.

Sì, a mio avviso il Gadda dovrebbero farlo santo come Agostino d’Ippona o come il natale, in ragione della sua sconfinata, anzi infinita generosità. Il Gadda ha il potere di unire il cielo della Italia: non è questo forse un miracolo?

Con il Gadda siamo tutti e soltanto italofoni: la mia matria è il pomidoro, è la pasta e fagioli; la mia matria è Carlo Emilio Gadda.